Le fibre in natura
basso impatto;.
ambientale.organico.organico.
Scegliere i tessuti con fibre naturali o biologiche non è soltanto un modo per vivere responsabilmente ma vuol dire anche prendersi cura della propria salute.
Di seguito illustriamo le fibre in natura che vengono impiegate nei tessuti da noi proposti.
Abaca La “canapa di Manila” si ricava dalle guaine fogliari che formano il falso fusto di diverse piante della famiglia delle Musacee. La specie migliore da cui ricavare fibre è Musa textilis, una sorta di banano. La pianta è originaria delle Filippine, ma in passato la sua coltura è stata introdotta anche nel Sud-Est asiatico e nell’America Latina. L’abaca è adoperata per tele, tessuti e cordame estremamente flessibili, leggeri e resistenti. La maggior parte della produzione, tuttavia, è trasformata in polpa per l’industria cartaria. |
|
Bamboo Molti prodotti Visioni Sostenibili sono costruiti con legno o fibra di bambou con cui anche si ricava un filato straordinario. Il tessuto in fibra di bambou assomma le qualità do morbidezza della seta con il potere traspirante di molti tessuti sintetici molto in voga oggi. |
|
Alfa
L’alfa è adatta alla confezione di tappeti, cordame e reti. Dalle fibre |
|
Canapa È una fibra da fusto ottenuta da una pianta erbacea annuale della famiglia delle Cannabacee (Cannabis sativa) e originaria dell’Asia centrale. Attualmente la produzione è concentrata nell’Asia orientale e in alcuni Paesi europei. La raccolta della canapa si effettua al termine della fioritura. Le piante sono recise al piede e, una volta essiccate e ripulite, si fanno macerare, per dissolvere le sostanze che tengono uniti i fasci liberiani agli altri costituenti del fusto. Seguono una serie di operazioni meccaniche per liberare la fibra dalle parti legnose della pianta. La canapa, essendo poco elastica ma molto resistente, è utilizzata per fabbricare tele gregge, sacchi o cordame, oltre a trovare un vasto impiego nell’industria cartaria. Sta tornando in uso per la realizzazione di tessuti per arredamento e abbigliamento. Dalla disintegrazione approfondita dei fasci fibrosi si ottiene una fibra chiamata cafiocco, o cafioc, o canapa fiocco.
|
|
Cocco Si estrae dai grossi peli che ricoprono i frutti (noci) della Cocos nucifera o palma da cocco, pianta della famiglia delle Arecacee originaria dell’Oceania. La palma è tipica della zona pan-tropicale del pianeta. La produzione di fibra assume una valenza industriale in India, Sri Lanka, Thailandia, Malaysia e Indonesia. Dalle noci si tolgono i gusci, poi lasciati macerare in acqua per alcune settimane (frutti maturi) o alcuni mesi (frutti non completamente maturi). Le fibre sono estratte manualmente o con l’ausilio di macchine apposite. I compatti fasci fibrosi, di colore bruno-rossiccio oppure più chiari (se ricavati da frutti ancora acerbi), sono costituiti da singole fibre, piuttosto elastiche, del diametro di 15-20 micron e con un’ottima resistenza all’abrasione e al logoramento. Le fibre estratte dai frutti maturi sono grosse e ruvide, mentre quelle “bianche” sono fini e flessibili. La fibra di cocco trova impiego principalmente nella fabbricazione di passatoie, rivestimenti per pavimenti, cordame, stuoie, imbottiture e spazzole. Negli ultimi anni, al pari di altre fibre dure, si sta tentando una diversificazione degli impieghi in altri settori (materiali compositi, edilizia, agro-tessile, geo-tessile, ecc.).
|
|
Cotone Biologico Si ricava dalla lanugine che ricopre i semi contenuti del frutto di una pianta (erbacea o arbustiva,) del genere Gossypium e della famiglia delle Malvacee. È presente in oltre ottanta Paesi. Le maggiori coltivazioni si trovano in India, Cina, Stati Uniti, Pakistan, Asia centrale, Africa sub-sahariana e America meridionale. La pianta inizia a fiorire tre mesi dopo la semina a filari. I fiori, una volta fecondati, si tramutano in capsule, contenenti i semi, nel giro di un mese. Il ciclo biologico termina con l’apertura delle capsule e la fuoriuscita del cotone, sotto forma di ammasso fibroso. I fiocchi di cotone sono raccolti, a mano o a macchina, una settimana dopo la maturazione dei frutti. Entro tre mesi dalla raccolta si procede con la sgranatura, separando i semi dalle fibre. I criteri per valutare la qualità del cotone sono il grado (pulizia, preparazione, lucentezza), il colore (meglio se bianco puro), il tiglio (lunghezza della fibra) e il carattere (finezza, resistenza, elasticità, pienezza e altre caratteristiche). È la fibra naturale più diffusa al mondo e le sue proprietà lo rendono particolarmente adatto a essere indossato a contatto con la pelle. Possiede inoltre una buona filabilità e tingibilità. La coltivazione del cotone è tra le più inquinanti per l’alto impiego di pesticidi, fertilizzanti e l’esorbitante impiego di acqua. il 30% dei pesticidi utilizzati annualmente sono impiegati nelle colture del cotone che in parte rimangono imprigionati nei filati ed assorbiti dall’organismo attraverso la pelle. La coltivazione biologica del cotone non impiega fertilizzanti nè pesticidi ma rappresenta circa il 3% dell’intera produzione mondiale. Il cotone biologico ha una resa di 1/3 rispetto ad una coltivazione intensiva ed un costo del filato molto più alto.
|
|
Ginestra Si ottiene dai ramoscelli di alcune piante cespugliose e con bellissimi fiori, ascritte alla famiglia delle Fabacee (Leguminose). Le specie più note sono Spartium junceum e Cytisus scoparius. Questa fibra è conosciuta sin dall’antichità (Fenici, Greci, Romani), ma oggigiorno è poco utilizzata. La pianta è presente allo stato spontaneo in tutto il bacino del Mediterraneo ed è stata introdotta in moltissimi altri Paesi di ogni continente. Le ramificazioni nel primo anno di formazione (vermene) sono la fonte principale per l’estrazione della fibra. Una volta tagliati e macerati, i rami sono sottoposti a stigliatura, per separare le fibre dalle parti legnose. La filaccia ottenuta, solitamente verdognola, è affinata con l’operazione di pettinatura. Essendo una buona sostituta della juta, la ginestra si può adoperare per realizzare sacchi, cordame, tappeti e accessori (borse, cappelli, cinture). Può essere utilizzata anche per altri prodotti industriali (filtri, materiali plastici) e nell’edilizia (pannelli isolanti). |
|
Kenaf Questa fibra si ricava dal fusto di una pianta erbacea (Hibiscus cannabinus) della famiglia delle Malvacee. Spesso con il nome di “kenaf” è commercializzata anche un’altra fibra, la rosella, estratta dall’Hibiscus sabdariffa altissima. Gli ibischi sono piante annuali prive di ramificazioni e alte più di 3 metri. Il kenaf è prodotto in piccole quantità, soprattutto nelle regioni intertropicali dell’Asia. Le fibre sono raggruppate in fasci e sono corte, fragili, irregolari e difficilmente isolabili. Le proprietà sono simili a quelle della juta. Gli impieghi principali nell’industria tessile riguardano la fabbricazione di cordami, sacchi e tessuti per arredamento. Il kenaf è utilizzato anche nell’industria cartaria e per alcune applicazioni tecniche. |
|
Juta È fornita da piante erbacee annuali della famiglia delle Tigliacee. Le specie più indicate per l’estrazione della fibra sono Corchorus capsularis e Corchorus olitorius. È la seconda fibra naturale più importante dopo il cotone, in termini di consumo mondiale e disponibilità. Quasi l’85 per cento della produzione mondiale è concentrata nella regione del delta del Gange. I maggiori produttori sono l’India e il Bangladesh. Come la maggior parte delle fibre liberiane, anche la juta è ottenuta con il seguente procedimento: recisione delle piante; essiccamento e pulitura dei fusti; macerazione; operazioni meccaniche atte a separare i fasci fibrosi dalle parti legnose. Le fibre, di colore bianco-giallognolo o grigio-argenteo, sono legnose e irregolari, hanno un odore forte e si decompongono facilmente. Con il tempo l’umidità dell’aria tende a farle imbrunire e indebolire. La juta è per lo più adoperata allo stato greggio e si sfrutta la sua tenacità per la realizzazione di tele e sacchi per imballaggio, cordame, rivestimenti per pareti, tessuti di base per gli arazzi e materiale di supporto per rivestimenti tessili dei pavimenti. Di recente la fibra ha trovato impiego anche in altre applicazioni tecniche (materiali compositi, geo-tessile, ecc.). |
|
Kapok Chiamata anche “lana vegetale”, si ricava dalla bambagia che riveste internamente i frutti di un albero tropicale (Ceiba pentandra) appartenente, secondo alcuni autori, alla famiglia delle Malvacee, e da altri attribuito alle Bombacacee. Il kapok, pianta molto alta e massiccia, è diffuso nel Sud-Est asiatico e in alcune zone dell’Africa e dell’America Latina. I frutti maturi sono raccolti per abbacchiatura e quindi aperti per togliere, a mano o a macchina, la lanugine che ricopre i semi. Essa è costituita da peli cortissimi, bianchi o giallini, leggeri, soffici e lucenti. Il kapok, grazie alla leggerezza e alle ottime proprietà idrorepellenti, è usato specialmente come materiale per imbottiture |
|
Lino Si ottiene dai fasci fibrosi contenuti nello strato liberiano del fusto delle Linacee, la cui varietà più diffusa è Linum usitatissimum. È la più antica e pregiata fibra vegetale. Attualmente i due terzi della produzione di fibra e stoppa sono concentrati in Cina. Il lino di qualità migliore, tuttavia, proviene dal Belgio, dalla Francia, dall’Olanda e dalla Russia. La pianta va riseminata ogni anno e, per ottenere la fibra, è estirpata circa quattro mesi dopo la semina. I rami, essiccati e ripuliti, sono lasciati macerare per liberare le fibre dalle sostanze gommose che le tengono unite in fasci. Si procede quindi alla separazione della filaccia dai residui legnosi, alla cardatura e alla pettinatura, per eliminare le fibre troppo corte e le impurità. La filaccia è di colore grigio o giallastro e, una volta ripulita, assume una colorazione bianca lucente. La finezza delle singole fibre varia da 12 a 25 micron. Il lino è una delle fibre naturali più resistenti alla tensione e allo strappo e garantisce una buona igroscopicità e una sensazione di freschezza a contatto con la pelle. È impiegato in genere per la confezione di tessuti fini e pregiati, sia per abbigliamento che per usi domestici. |
|
Ramié È fornita da piante erbacee perenni ascritte al genere Boehmeria e alla famiglia delle Urticacee. Questa fibra è usata da millenni in Estremo Oriente e negli ultimi decenni si è diffuso l’utilizzo anche in Occidente, in mischia con altre fibre vegetali. La pianta è coltivata in numerosi Paesi, specialmente asiatici; la produzione cinese copre quasi interamente il fabbisogno mondiale. Gli steli della pianta sono raccolti due o tre volte all’anno. Una volta defoliati ed essiccati, si estrae la filaccia per decorticazione, con raschiature consecutive intervallate da periodi di macerazione. I fasci fibrosi greggi sono quindi ripuliti e imbiancati, fino ad assumere un colore bianco lucente. Il ramié, simile al lino, è tenace, facile da tingere ed estremamente assorbente. Per contro, è poco elastico e si gualcisce facilmente. È utilizzato, prevalentemente con altre fibre, per la fabbricazione di biancheria da tavola, nastri, pizzi, telerie pregiate e cucirini. Gli elevati costi di produzione ne limitano fortemente l’impiego. |
|
Sisal È ricavata dalle lunghe foglie dell’Agave sisalana, pianta della famiglia delle Agavacee. Trae il nome dall’omonimo porto situato nella penisola messicana dello Yucatan. La coltivazione è praticata in Africa (essenzialmente in Kenya, Madagascar, Tanzania), in America Latina (Brasile, Cuba, Haiti, Messico, Venezuela) e in alcuni Paesi asiatici (tra i quali la Cina). La raccolta si effettua recidendo via via le foglie più vecchie e lasciandole essiccare, prima di sottoporle a uno schiacciamento che maciulla i tessuti e separa i filamenti tessili dalla polpa secca. Le fibre sono bianco-giallastre, rigide e abbastanza ruvide. Possiedono un’elevata resistenza alla lacerazione, all’abrasione e all’umidità e sono relativamente facili da tingere. Il sisal è utilizzato per realizzare cordame, sacchi, stuoie, tappeti, spazzole, cappelli di paglia e altri manufatti simili. Fibre dure strettamente assimilabili sono l’henequen e il maguey, ricavate da altre specie di agavi. |
|
Sunn Denominata “canapa del Bengala”, è estratta da alcune piante giunchiformi del genere Crotalaria e della famiglia delle Papilionacee. Questi vegetali sono spontanei dell’India, ma sono coltivati anche in Indonesia. Per recisione della pianta al momento della fioritura si raccolgono i fusti che, macerati e sottoposti a una serie di lavorazioni uguali a quelle della juta, forniscono un tiglio di fibre fini e morbide. |